La storia è ambientata nel 1680 nell’isola di Rapa Nui, prima ancora della scoperta dell'isola da parte del navigatore olandese Jakob Roggeveen, avvenuta la domenica di Pasqua 1722, che per tal motivo diede a Rapa Nui il nuovo nome di Isola di Pasqua.
La trama narra la contrastata storia d’amore tra il giovane Noro, appartenente al popolo dei Lobi Lunghi, di origine polinesiana, e quindi ad una delle nobili tribù responsabili dell’erezione di gigantesche statue a carattere religioso chiamate Moai; ed una ragazza di nome Ramana appartenente al popolo dei Lobi Corti, schiavi sfruttati per la costruzione dei Moai. La giovane ragazza chiusa per lungo tempo in una grotta, ne esce cieca e incinta.
Nella tradizionale gara degli "uomini uccello" Noro dovrà battersi contro l'amico Make, un Lobo Corto, anch'egli innamorato di Ramana. Luoghi autentici, molti nativi a far da comparse (ma i protagonisti sono "bianchi"), spettacolarità ricercata, molte sequenze turistiche per l'ennesima riproposta dell'amore impossibile a causa delle divisioni sociali, ma anche con messaggio ecologico. Le riprese sono a momenti affascinanti come i luoghi impervi, colorati e selvaggi che rimandano a un pubblico che sogna la vacanza, e con la spettacolare gara dell'uomo uccello ha ritmo e suspense.
Ma, in un paesaggio paradisiaco, su un'isola bellissima resa brulla dallo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, sono girate magnificamente due sequenze: quella d'una competizione mistico-sportiva sulle scogliere e nel mare, che ha come posta il potere; e quella della massa dei lavoratori stremati dalla fatica nel costruire e trasportare gli immensi idoli.
Molti misteri si celano sull’Isola di Rapa Nui: l’etnologo tedesco Sebastian Englert, forse il massimo studioso dell’isola (visse a Rapa Nui tra il 1923 e il 1969 e ne fu anche cappellano, essendo frate cappuccino), riferisce che, secondo la tradizione locale, la gente di Hotu Matu’a sapeva che in epoche remote l’isola era già stata abitata e parlava di un leggendario popolo di giganti dagli occhi azzurri e dalla pelle chiara…
Tra i miti locali invece, rivestiva grande importanza quello del Tangata Manu, l’Uomo Uccello, indecifrata divinità cui si rendeva onore in una grande festa primaverile e che richiamava ad un essere in grado di andare e venire tra cielo e terra. Lo stesso Englert e altri ricercatori riportano nomi mitologici che gli antichi Pasquensi davano alla loro isola: i più suggestivi sono “Te pito o te henua” (l’ombelico del mondo) e “Mata ki te rangi” (occhi che guardano il cielo) …
Forse non era un caso: forse i colonizzatori avevano cercato di andare verso una “grande luce”, un luogo considerato come punto di riferimento, ai limiti tra la Terra e il Cielo, dove trovare traccia di un percorso non solo di colonizzazione ma anche spirituale, rivolto a dimensioni diverse dal terrestre quotidiano.
La teoria più accredita è che i Moai siano portatori di benessere e prosperità; rivolti verso il mare auspicano una pesca abbondante e rappresenterebbero i defunti oppure importanti personalità della comunità.
Difficile parlare di un incontro con Rapa Nui come di un viaggio, una vacanza … E’ un luogo dove ci si può sentire in un lontanissimo altrove ma nello stesso tempo a casa, immersi nella percezione di un mistero che non è solo storico e archeologico ma tocca le corde più profonde del rapporto che ci lega alla Natura, al mistero di esistere.
Un’esperienza che può trovare la sua chiave nel simbolico atteggiamento dei Moai: tutti, indistintamente, hanno le mani riunite all’altezza del ventre in una chiara postura di meditazione. Tra le mani, qualcosa di indecifrabile, un piccolo segno, come un piccolo oggetto regolare: forse una gemma?